Vittorio Sgarbi

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Sappiamo tutti quanto la storia dell’arte “ufficiale” abbia manifestato ostilità nei confronti della figurazione del Novecento, soprattutto quella più tradizionalista, nella convinzione che fosse una modalità espressiva legata al passato, ormai superata per sempre dai tempi moderni. Una valutazione che proprio il tempo ha dimostrato completamente errata; soprattutto perché si continua a riconoscere nell’arte figurativa la realizzazione più emblematica dei propri ideali estetici.
Cancellare la figurazione tradizionalista dalla storia dell’arte del secondo Novecento è un’operazione arbitraria che può essere giustificata per un critico, assolutamente libero nei suoi giudizi, ma non per uno storico, a meno che non si voglia fare intenzionalmente una storia del l’arte solo “colta”, così come si è espressa nelle ristrettissime cerchie di certi critici e degli artisti a loro graditi. Credo che nessun fenomeno storico abbia subito una penalizzazione così pesante come quella della configurazione “novorealista” (non neo realista), sviluppatasi in particolare a Firenze subito dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale.
In quegli anni giovani artisti come Annigoni, Sciltian, i Bueno, Guarienti si sono riuniti attorno all’esempio di De Chirico e si sono organizzati in gruppo, affermando con orgoglio il diritto della figurazione tradizionalista, quella imparata preva lentemente in accademia, quella che sentivano come autenticamente “italiana”, ad avere ancora qualcosa da dire all’uomo moderno. Il gruppo si è sciolto precocemente, sia per il successo personale che stava conseguendo Annigoni, sia per le propensioni espressioniste maturate da alcuni dei suoi esponenti (i Bueno per esempio), ma durante la propria esistenza è riuscito ugualmente a raccogliere negli ambienti artistici e nel grande pubblico un credito straordinario. Anche se volessimo giudicare il “nuovo Rinascimento moderno” proposto da Annigoni in modo reazionario rispetto agli sviluppi paralleli della ricerca artistica, è questo un dato di fatto con il quale lo storico ha l’obbligo di confrontarsi.
Il “novo-realismo” andrebbe considerato quasi come un retour à l’ordre che ha investito l’arte internazionale dopo la Prima Guerra Mondiale, riportando alla grande comunicazione, molti degli artisti avanguardisti che si erano soffermati sull’intellettualismo nelle loro ricerche; e invece, a differenza del suo più legittimo antecedente storico, il “novo-realismo” è stato cancellato dalla critica come qualcosa di fastidioso e imbarazzante, qualcosa che si opponeva alle “magnifiche sorti e progressive” dell’Avanguardia, qualcosa che faceva dell’arte un fatto ancora troppo legato al gusto ed alla mentalità non di pochi eletti, ma della gente comune dell’Avanguardia, qualcosa che faceva dell’arte un fatto ancora troppo legato al gusto ed alla mentalità non di pochi eletti, ma della gente comune. Inevitabile su queste premesse, che chi abbia oggi il coraggio di definirsi un allievo di Pietro Annigoni, il più rappresentativo e popolarmente noto dei “novo-realisti”, subisca la stessa “maledizione” critica inflitta al suo maestro. Ma di problemi simili Alberto Remo Carlo Lanteri, erede diretto dei “novo-realisti”, non sembra giustamente preoccuparsi, tutto concentrato da un proprio mestiere che si confronta direttamente con la lezione rinascimentale e che raggiunge vette di virtuosismo davvero inusuali nell’ambito della pittura italiana contemporanea.
C’è una parte dell’animo di Lanteri che sembra compiacersi di questa estraneità alle manifestazioni artistiche più tipiche del mondo moderno, un Lanteri che si sente un uomo del passato, finito per caso, a vivere nei nostri giorni, talvolta anche capace di esibizionismi provocatori (è il caso del ritratto in veste di Gioconda, per esempio) che emulano analoghe performances di Giorgio De Chirico, il pictour optimus per eccellenza, e che dichiarano a proprie lettere il pieno orgoglio di sentirsi dotato di quello che veniva chiamato il “buon mestiere antico”. Non c’è dubbio che da questo punto di vista lo stile di Lanteri rimandi evidentemente a un Rinascimento che potremmo definire “pre-belliniano”, vicino al Pollaiolo come a Botticelli o a Cima da Conegliano, in cui il disegno acquisisce un valore imprescindibile nella definizione plastica e concettuale della forma. Né la forma mentis di Lanteri (“l’arte è un lungo cammino attraverso il quale io cerco di penetrare nell’infinito mistero del cosmo onde raggiungere la luce più pura: Dio”, ha affermato l’artista) sembrerebbe distaccarsi troppo da quella di un Beato Angelico, ossia da quanto di più lontano ci possa essere dall’epoca moderna, sebbene la ricorrente frequentazione del soggetto “laico” (il nudo innanzitutto) esclude connessioni troppo stringenti con il misticismo del frate-artista. Ma Lanteri non è un fanatico passatista, un improbabile pre-raffaellista che crede di essere la reincarnazione di un pittore quattrocentesco e che come tale si comporta nei nostri giorni; a compensazione della sua “anima antica”, fa trasparire nelle sue opere in stile ancien régime una sensibilità formale e spirituale che non può non essere definita moderna, più specifi catamente novecentesca.
Penso, ad esempio, al nitore e alla profondità delle sue immagini che trova precisi corrispettivi in una linea figurativa italiana che comprende Valori Plastici (Broglio e Oppio), Novecento (Funi, Marussing, Dudreville), l'”italianismo” triestino (Sbisà), il cosiddetto Realismo Magico, estendendosi anche alla figurazione internazionale (a certa Neue Sachklicheit come quella di Schad, fra gli altri). Penso ugualmente alla spiccata vocazione simbolista di Lanteri, lontana dal lucido allegorismo rinascimentale, ma salda mente radicata nella mentalità tardo-romantica, visionaria e instabile, volta a cogliere non sistemi di certezze, ma aneliti di verità nelle improvvise apparenze del creato.
Per non dire, passando ad aspetti più esteriori, di certo styling nell’abbigliamento, nelle “decorazioni” o nelle ambientazioni create da Lanteri, quasi con qualche vaga ascendenza futurista alla Thayat. C’è n’è abbastanza, insomma, per considerare Lanteri un pittore moderno a tutti gli effetti, contro ogni classificazione pre giudiziale, contro ogni facile superficialità critica. E’ un dato di fatto.

 

 

 

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Nous savons tous quand l’histoire “officielle” de l’art a manifesté hostilité vers l’art figuratif du XXe siècle, surtout celle plus traditionaliste, dans la conviction que ce soit une modalité expressive liée au passé, désormais dépassée pour toujours par les temps modernes. Une évaluation que le temps a démontré erronée; surtout parcequ’on continue a reconnaitre dans l’art figuratif la réalisation più emblématique des propres ideaux esthétiques.
Effacer la figuration traditionaliste dans l’histoire de l’art dans la deuxième partie du XXe siècle est une opération arbitraire qui peut etre justifiée par un critique, totalement libre de ses jugements, mais pas pour un historien, à moins qu’il ne veuille faire intentionellement une histoire de l’art uniquement “cultivée”, comme celà a étè le cas dans certains cercles très restreints de critiques sur leurs artistes appréciés. Je pense qu’aucun phénomène historique n’a subi une pénalisation si lourde que celle de la configuration “du réalisme du XXe siècle” (e non du neo réalisme), qui s’est dévelopée en particulier à Florence dès la fin de la seconde Guerre Mondiale. Au cours de ces années, de jeunes artistes comme Annigoni, Sciltian, Bueno, Guarienti se sont réunis autour par exemple de De Chirico et se sont organisés en groupe, affirmant avec orgueil le droit à l’art figuratif traditionaliste, celle apprise lentement à l’accadémie, celle qu’ils sentaient comme authentiquement “italienne”, à avoir encore quelque chose à dire sur l’homme moderne. Le groupe s’est séparé précocement, soit par le succès personel qu’avait Annigoni, soit par les propentions expressionistes maturées par quelques exposants (Les Bueno par exemple), mais durant la propre existence a réussi également à recueillir dans les environnements artitisques et dans le grand public un crédit extraordinaire. Meme si nous voulions juger la “nouvelle Renaissance moderne” proposée par Annigoni de facon réactionaire en rapport aux développements parallèles de la recherche artistique, ceci est un fait avec lequel l’historien a l’obligation de se confronter.
Le réalisme du XXe siècle devrait etre considéré presque comme un retour à l’ordre qui a frappé l’art international après la Première Grerre Mondiale, un retour à la grande communication, bon nombre des artistes d’avant-garde qui s’étaient arrêtés dans leur recherche sull’intellectualisme, et à difference de son antécédent légitime historique, le réalisme du XXe siècle a été effacé de la critique comme quelque chose de génant et embarassant, quelquechose qui s’opposait au sort magnifique et progressif de l’Avant-garde, quelque chose qui faisait de l’art un fait encore trop lié au gout et à la mentalité de peu d’élus, mais de personnes communes.
Inévitablement sur ​​ces prémisses, celui qui a le courage de se définir un élève de Pietro Annigoni, le plus populaire représentant du réalisme du XXe siècle subit la meme malédiction critique affligée à son maitre. Mais de ces problèmes, Alberto Remo Carlo Lanteri, héritier direct du réalisme du XXe siècle, ne semble justement pas se préoccuper, concentré sur un propre métier qui se compare directement avec la lecon de la Renaisance et qui atteint des pics de virtuosité vraiment peu communs dans le cadre de la peinture italienne contemporaine.
Il ya une partie de l’âme de Lanteri qui semble se complaire de cette étrangeté aux manifestations artistiques typiques du monde moderne, un Lanteri qui se sent un homme du passé, fini par hasard à vivre de nos temps, parfois meme capable d’exhibitionismes provocants (c’est le cas du portrait de la Joconde, par exemple) qui émulent des performances similaires à Giorgio De Chirico, le “pictour optimus” par excellence, et qui déclare avec fierté de se sentir doué de ce qu’on appelait le “bon vieux métier”. Il n’y a pas de doute de ce point de vue que le genre de Lanteri rappelle avec évidence une Rennaissance que nous pourions définir “pre-belliniano”, voisin au “Pollaiolo” comme a Botticelli ou a Cima da Conegliano, dans lequel le dessin acquiert une valeur essentielle dans la définition et le concept de la forme plastique. Ni la forme mentis de Lanteri (l’art est un long chemin à travers lequel je cherche à pénétrer dans l’infini mystère du cosmos afin d’atteindre la lumière plus pure: Dieu”, a affirmé l’artiste) semble trop se détacher de celle d’un ange bea, aussi éloignée de l’ère moderne, bien que la demande du sujet “laique” (surtout le nu) exclu les liens trop stricts en rapport au mysticisme du moine-artiste. Mais Lanteri n’est pas un fanatique traditionaliste, un improbale pre-raffaelliste qui croit etre la réincarnation d’un peintre du quinzième siècle et se comporte comme tel de nos jours; pour compenser son “ame antique” fait paraitre dans ses oeuvres de style ancien régime une sensibilité formelle et spirituelle qui ne peut etre définie moderne, plus spécifiquement du XXe siècle.
Je pense, par exemple, que la clarté et la profondeur de ses images qui trouvent un examen détaillé dans une ligne figurative italienne qui comprend des Valeurs Plastiques (Broglio e Oppio), XXè siècle (Funi, Marussing, Dudreville), l’italianisme” tristin (Sbisà), le dit Réalisme Magique, s’étendit meme à l’art figuratif international (a Neue Sachklicheit comme celui de Schad, entre autre). Je pense également à la forte vocation symboliste de Lanteri, loin de l’allegorisme de la Rennaissance, mais solidement ancrée dans la mentalité tardo-romantique, visionnaire et instable, destinée à capturer non des systèmes de certitude, mais d’aspirations à la verité dans les apparences improvisées de la création.
Pour ne pas dire, passant à des aspects plus extérieurs, d’un style dans l’habillement, dans les “décorations” ou dans les ambiances crées par Lanteri, presque avec quelques vagues ascendences futuristes a Thayat. Il y en a assez, en bref, pour considérer Lanteri un peintre moderne à tous ces effets, contre toute classification prèjugée, contre toute facile critique superficielle. C’est un état de fait.